venerdì 2 ottobre 2009

VOCI DAL SOTTOSUOLO

21 aprile

Questo intervento, a differenza degli altri, sarà davvero serio. Una volta per tutte metterò per iscritto, per quanto sia possibile farlo, le mie impressioni, sensazioni, ricordi, riguardo all'esperienza del sisma all'Aquila vissuta purtroppo in prima persona.

Avreste mai immaginato di poter rischiare davvero tutto in pochi secondi? Avreste mai immaginato che quelle poche sicurezze che cominciavano a nascere sarebbero crollate come castelli di carte? Avreste mai immaginato che alla fine siamo solo degli sbruffoni pieni di paure e dubbi? Io non l'avrei mai immaginato, ma l'ho fatto...mio malgrado. Ormai sappiamo tutti com'è andata quella notte di domenica. Ormai siamo super informati su quanti feriti, morti, dispersi ci sono stati. Si parla ogni giorno di quanti fondi devono essere impiegati per le prime ricostruzioni, critichiamo tutti i presunti responsabili di morti evitabili, siamo tutti vicini agli sfollati delle tendopoli...
Ma per un momento proiettatevi in un letto alle tre e mezzo di notte circa. Chi dorme, chi guarda la tv, chi sta a letto con qualcuno, chi soffre, chi vi è inchiodato da una vita ecc. Voi siete lì. La camera è buia. D'un tratto un rombo assordante vi spacca le orecchie, e tutto intorno a voi trema prima piano, poi sempre più violento, finchè quel letto immobile di prima non salta sul pavimento come un cavallo che scalcia. Siete in mezzo ad una tempesta senza vento o mare forte. L'unica cosa che cade non è pioggia, ma calcinacci, libri, soprammobili. Potete sentire lo stridere dei mattoni,così solidi poco prima, che si sgretolano e sembrano quasi esplodere con un'immane pressione. La mente comincia a deviare le immagini, credi di vedere tutto in obbliquo, bestemmi, preghi, piangi, giaci immobile, che fai? Proprio quando stai per mollare l'inferno si prende un attimo di pausa. Il tempo dilatatosi prima si riassorbe in una fuga tempestiva. Prendi le prime cose che ti capitano sotto mano. La maglietta del pigiama, un paio di jeans, le ciabatte. Scappi all'impazzata nel buio del corridoio, sperando che la tempesta di case non riprenda subito. Con tutta la forza che l'istinto ti dà ti fiondi giù per le scale. Sei salvo, ora aprirai il portone e sarai per strada al sicuro. Ma quel portone non si apre. La situazione è ribaltata. Sei in trappola! Ti accorgi di respirare tufo e intonaco in polvere. Gli occhi bruciano di adrenalina e polvere. Gli altri condomini arrivano. Ci sono bambini, anziani, donne in lacrime, uomini indecisi... cerchi di chiamare i soccorsi...purtroppo non sei l'unico: una città intera è nel panico. Devi fare da te. Spacchi uno dei quadrati di vetro di cui il portone è composto. Maledici il cattivo gusto di chi l'ha scelto! Da questo quadrato escono prima i bambini e poi mano a mano si riesce ad uscire. Per strada sei al sicuro finalmente. Ti fa male il braccio, hai cercato di sfondare il portone senza successo. Le mani gocciolano sangue, e pezzetti di vetro. Ti unisci ai tuoi compagni e cerchi di capire la situazione. Qualcuno ti prende, ti offre un passaggio fino ad uno spiazzo, dove passerai la notte. Fuori fa 4 gradi, e sei a piedi nudi in pratica. Lo spiazzo è pieno di automobili. Gente che chiede sigarette. Gente distrutta che si aggrappa all'ultimo residuo di quotidianità. Gente fresca di terrore e di coraggio. Tutta la notte si sta con l'orecchio al notiziario, e da un minuto all'altro le liste crescono. Morti, feriti, case crollate, ecc. I minuti sono scanditi da nuove scosse, più lievi. Ogni volta la macchina sembrava accendersi ancora, ma senza che il motore girasse. Ogni volta era quel boato che ha distrutto i tuoi nervi, che ti rende debole e psicologicamente vulnerabile. Le tue difese mentali sono messe a dura prova. Se chiudi gli occhi, ti rivedi dieci minuti fa, mezz'ora fa, tre ore fa, mentre scappavi dal mondo in distruzione.
Alla fine arriva il sole. Ora vedi ciò che per tutta la notte hai sentito. Quelle sirene prendono forma. Quel rombo di elicottero lo vedi in cielo. Quelle lacrime sono sul volto di anziani che hanno perso tutto, di madri, padri, fratelli, figli, che sono svuotati di ogni sostanza vitale.
Dopo è tutto un organizzarsi per andar via. Un cercarsi al telefono. Un rassicurare le famiglie lontane. Un mettersi al sicuro.
Dopo si tratta solo di raccontare mille e mille volte la stessa storia, di recitare fino alla noia la stessa opera teatrale per pubblici sempre nuovi, e ignoranti della ferita fresca, che ad ogni parola gronda ancora sangue.
Ora anche voi una volta per tutte sapete com'è andata davvero. Ora anche voi ci siete stati, anche se di passaggio in quella notte, in cui le voci urlarono dal sottosuolo.

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